Nobel 2015 e cecità dei fiumi

Premiata la scoperta della avermectina, efficace nel trattamento della cecità dei fiumi.

Il Nobel 2015 per Medicina e Fisiologia ha voluto premiare l’impegno di alcuni scienziati che si sono distinti nella lotta contro le patologie infettive. È stata, innanzitutto, riconosciuta l’importanza della scoperta, ad opera della dott.ssa Youyou Tu, della artemisina, che ha giocato un ruolo fondamentale nel dimezzamento, a partire dal 2000, dei casi di morte determinata dalla malaria.
Il premio Nobel è stato, altresì, conferito congiuntamente all’americano William C. Campbell e al giapponese Satoshi Omura per le loro scoperte relative alla avermectina, efficace contro alcuni vermi nematodi. L’avermectina deriva a sua volta da un organismo vivente, lo Streptomyces, un batterio di cui il dott. Omura aveva allevato migliaia di ceppi nel corso degli anni ’70 nella speranza di imbattersi in un nuovo antinfettivo, dal momento che proprio lo Streptomyces era stato all’origine di uno dei primi antibiotici, la streptomicina. Il dott. Campbell si è poi riallacciato a questo lavoro, individuando tra i composti del dott. Omura quello che risultava più efficace nell’uccidere i vermi nematodi responsabili della filariasi (o filariosi) linfatica e della cecità dei fiumi o oncocerchiasi.
Il farmaco che discende direttamente dall’avermectina, l’ivermectina, ha oggi un ruolo essenziale nella lotta contro questa categoria di parassitosi, tanto da essere incluso dal WHO (Wealth Health Organization) nella Lista dei Farmaci Essenziali.
L’oncocerchiasi o “cecità dei fiumi” è considerata la seconda causa al mondo, dopo il tracoma, di cecità prevenibile a causa di malattie contagiose.
Si tratta di un’infezione provocata da un verme nematode, l’Onchocerca volvulus, diffuso specialmente lungo i grandi fiumi, dove sono presenti mosche brune del genere Similium, che trasmettono l’infezione attraverso i morsi dalla femmina infetta. Le larve (microfilarie) penetrano attraverso la pelle e maturano nella forma adulta in noduli sottocutanei; in questi ultimi si riproducono e si diffondono in tutto l’organismo provocando, quando muoiono, infiammazioni locali.
Il primo segno oculare della malattia è una modesta uveite anteriore. Con l’andare del tempo, con l’ingresso delle microfilarie all’interno dell’occhio, l’infiammazione intraoculare progredisce, aggravata da fenomeni di cicatrizzazione. Il coinvolgimento del segmento posteriore dell’occhio produce una corioretinite e l’ulteriore aggravarsi della patologia porta alla comparsa di atrofia corioretinica, accumulo di pigmento, fibrosi e neovascolarizzazione.
Le lesioni sono generalmente simmetriche e tendono a risparmiare la macula fino agli stadi terminali della malattia, che può portare alla cecità, anche per l’insorgenza di una cheratite sclerosante.
La patologia è tuttora endemica in diversi Paesi dell’Africa subsahariana. Complessivamente colpisce 31 Stati africani, una decina di Stati del Centro e del Sud America nonché lo Yemen (Penisola arabica). Sono circa 25 milioni le persone infette, mentre 123 milioni vivono in aree a rischio. Circa 300 mila i malati che sono diventati ciechi a causa del parassita, mentre altri 800 mila sono gli ipovedenti. Quasi il 99% delle persone infettate vivono in Africa (soprattutto nelle zone rurali).
Al momento attuale non esiste un vaccino o un altro farmaco in grado di prevenire l’infezione.
Un notevole progresso è stato segnato, a partire dal 1989, dalla distribuzione su larga scala nelle aree colpite di ivermectina, che deve essere somministrata in dose annuale (dose minima) per un periodo di 10-15 anni. La terapia antinfettiva viene combinata ad iniziative volte alla bonifica delle aree malsane e alla diffusione dell’uso di insetticidi.
L’APOC (African Programme for Onchocerciasis Control), avviato nel 1995, e l’OEPA (Onchocerciasis Elimination Program of the Americas), lanciato nel 1992, hanno già raggiunto importanti risultati tanto che adesso l’OMS sta spostando l’obiettivo dal controllo alla eradicazione di questa patologia.
Importanti focolai sono purtroppo tuttora presenti in Yemen.

Per approfondimenti visita il sito dell’OMS

Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile